6 Febbraio 2020
BRANI TRATTI DAÂ CAMBIARE L’ACQUA AI FIORI
I miei vicini non temono niente. Non hanno preoccupazioni, non si innamorano, non si mangiano le unghie, non credono al caso, non fanno promesse nĂŠ rumore, non hanno lâassistenza sanitaria, non piangono, non cercano le chiavi nĂŠ gli occhiali nĂŠ il telecomando nĂŠ i figli nĂŠ la felicitĂ .
Non leggono, non pagano tasse, non fanno diete, non hanno preferenze, non cambiano idea, non si rifanno il letto, non fumano, non stilano liste, non contano fino a dieci prima di parlare, non si fanno sostituire.
Non sono leccaculo nĂŠ ambiziosi, rancorosi, carini, meschini, generosi, gelosi, trascurati, puliti, sublimi, divertenti, drogati, spilorci, sorridenti, furbi, violenti, innamorati, brontoloni, ipocriti, dolci, duri, molli, cattivi, bugiardi, ladri, giocatori dâazzardo, coraggiosi, fannulloni, credenti, viziosi, ottimisti. I miei vicini sono morti.
Lâunica differenza che câè fra loro è il legno della bara: quercia, pino o mogano. […]
I primi mesi della nostra convivenza a Charleville-Mezières ho scritto allâinterno di ogni giorno âAMORE FOLLEâ a pennarello rosso. Questo fino al 31 dicembre 1985. La mia ombra era sempre in quella di Philippe Toussaint, tranne quando andavo al lavoro. Mi risucchiava, mi beveva, mi avviluppava. Era di una sensualitĂ pazzesca. Mi si squagliava in bocca come caramello, come zucchero filato. Ero perennemente in festa. Se ripenso a quel periodo mi vedo come al luna park.
Sapeva sempre dove mettere le mani, la bocca, i baci. Non si smarriva mai. Aveva una carta stradale del mio corpo, itinerari che conosceva a memoria e di cui io ignoravo addirittura lâesistenza. […]
Vivevamo lâuna nelle vampate dellâaltro. Diceva sempre: ÂŤ[…] non avevo mai provato niente di simile! Sei una strega, sono sicuro che sei una strega!Âť. Credo che mi facesse le corna giĂ dal primo anno. Credo che mi abbia sempre tradito e mentito, che appena voltavo le spalle si fiondasse su qualcunâaltra.
Philippe Toussaint era come quei cigni che sono maestosi in acqua e traballano quando camminano sulla terra. Trasformava il nostro letto nel paradiso, era aggraziato e sensuale in amore, ma appena si alzava, appena si metteva in verticale abbandonando lâorizzontalitĂ del nostro amore, perdeva parecchi punti. Era incapace di qualsiasi conversazione, gli interessavano solo la motocicletta e i videogiochi. Non voleva piĂš che facessi la barista al Tibourin, era troppo geloso degli uomini che mi avvicinavano. Sono stata costretta a dare le dimissioni subito dopo essermi messa con lui. Avevo trovato lavoro come cameriera in una trattoria, attaccavo alle dieci, quando si cominciava a preparare per il pranzo, e staccavo alle sei del pomeriggio.
La mattina, quando uscivo di casa, Philippe Toussaint dormiva ancora. Mi costava tantissimo lasciare il nostro confortevole nido e affrontare il freddo della strada. Diceva che durante il giorno andava in giro con la moto. La sera, tornando, lo trovavo sbracato davanti alla televisione. Aprivo la porta e mi stendevo su di lui, come se dopo il lavoro mi tuffassi in unâimmensa piscina calda imbevuta di sole. Desideravo del blu nella mia vita? Eccomi servita.
Avrei fatto qualunque cosa perchĂŠ mi toccasse. Solo questo, toccarmi. Avevo la sensazione di appartenergli corpo e anima, e mi piaceva un sacco appartenergli corpo e anima. Allâepoca avevo diciassette anni e, nella mia testa, molta felicitĂ da recuperare. Se mi avesse lasciato non credo che il mio corpo avrebbe retto allo shock di unâaltra separazione, dopo quella da mia madre. […]
Niente âCara Violetteâ o âSignoraâ, la lettera di Julien Seul cominciava senza formule di cortesia. […] Sono arrivato a Brancion-en-Chalon alle due del mattino. Ho parcheggiato davanti al cancello chiuso del cimitero e mi sono addormentato. Ho fatto brutti sogni, ho avuto freddo, ho acceso il motore per riscaldarmi e mi sono riaddormentato. Verso le sette ho riaperto gli occhi e ho visto la luce dentro casa sua. Sono venuto a bussarle. Non mi aspettavo affatto di trovare una come lei. Bussando alla porta del guardiano del cimitero uno si aspetta di trovarsi davanti un vecchio panciuto e rubicondo. Lo so, sono clichĂŠ stupidi, ma certo non mi attendevo lei nĂŠ i suoi occhi acuti, spaventati, dolci e diffidenti. Lei mi ha fatto entrare e mi ha offerto un caffè. Câera una bella atmosfera a casa sua, un buon odore, e anche lei aveva un buon odore. Aveva addosso una vestaglia grigia da vecchia, eppure emanava qualcosa che sapeva di giovinezza, non so come dire, una certa energia, qualcosa che il tempo non aveva sciupato. Sembrava che quella vestaglia fosse una maschera, ecco, come una bambina che avesse preso in prestito il vestito di unâadulta. Aveva i capelli raccolti in uno chignon. Non so se fosse colpa dello shock che avevo avuto dal notaio, della guidata notturna o della stanchezza che mi confondeva la vista, ma lâho trovata incredibilmente irreale, un poâ come un fantasma, unâapparizione. Vedendo lei ho sentito per la prima volta che mia madre stava condividendo con me la sua strana vita parallela, che mi aveva portato lĂ dove veramente era. Poi ha tirato fuori i registri delle sepolture, e in quel momento ho capito che era una persona singolare, che esistono donne che non somigliano a nessunâaltra. Lei era qualcuno, non la copia di qualcuno. Mentre si preparava sono tornato in macchina, ho acceso il motore e chiuso gli occhi, ma non sono riuscito a dormire, continuavo a vederla dietro quella porta, ha continuato ad aprirmela per unâora, come uno spezzone di film che riguardavo a ciclo continuo per riascoltare la musica della scena che avevo appena vissuto. Quando lâho vista aspettarmi dietro il cancello col lungo cappotto blu scuro sono sceso dalla macchina pensando: âDevo scoprire da dove viene e che ci fa quiâ. Poi mi ha condotto alla tomba di Gabriel Prudent. Camminava eretta, aveva un bel profilo, e a ogni suo passo intuivo del rosso sotto il cappotto, come se nascondesse un segreto, e di nuovo ho pensato: âDevo scoprire da dove viene e che ci fa quiâ. Avrei dovuto essere triste in quella gelida mattina dâottobre nel suo lugubre cimitero, invece mi sentivo esattamente il contrario. Davanti alla tomba di Gabriel Prudent mi sono sentito come uno che nel giorno del matrimonio si innamora di unâinvitata […].
Ă la prima lettera dâamore che ricevo in vita mia. Strana, ma pur sempre una lettera dâamore. Per ricordare la madre ha scritto poche parole, quattro frasi per tirare fuori le quali sembra aver sudato sette camicie, mentre a me ha mandato intere pagine. Ă decisamente piĂš facile vuotare il sacco con un perfetto sconosciuto che non in una riunione di famiglia. Guardo la busta chiusa con lâindirizzo di Philippe Toussaint dentro. La infilo tra le pagine di un numero di Roses Magazine. Non so ancora che ne farò, se la lascerò chiusa nella rivista, la butterò o la aprirò. Philippe Toussaint vive a cento chilometri dal cimitero, non ci posso credere, lo credevo allâestero, allâaltro capo del mondo. Un mondo che da un pezzo non è piĂš il mio. […]
Diario di Irène Fayolle
22 ottobre 1992
Ieri sera ho sentito la voce di Gabriel in televisione. Parlava di âdifendere una donna che mi ha lasciatoâ. Naturalmente non ha detto cosĂŹ, è la mia mente a distorcere le parole. Paul mi stava aiutando a preparare la cena in cucina, nella stanza accanto câera la televisione accesa. Risentendo quel tono di voce legato ai miei ricordi piĂš belli sono stata talmente sorpresa da far cadere la pentola dâacqua bollente che avevo in mano. Si è schiantata sul pavimento ustionandomi le caviglie. Ha fatto un fracasso del diavolo, Paul è andato nel panico, ha creduto che tremassi per le bruciature. Mi ha trascinato in salotto e mi ha fatto sedere sul divano davanti alla televisione, davanti a Gabriel. Lui era lĂŹ, dentro quel rettangolo che non guardo mai. Mentre Paul si dava da fare per applicarmi garze imbevute dâacqua sulla pelle martoriata ho visto alcune immagini di Gabriel in tribunale. Un giornalista ha riferito che durante la settimana aveva patrocinato a Marsiglia facendo assolvere tre dei cinque uomini accusati di complicitĂ in unâevasione. Il processo si era concluso il giorno prima. Gabriel era a Marsiglia, vicinissimo a me, e io non lo sapevo. Se anche lâavessi saputo che avrei fatto, sarei andata a trovarlo? Per dirgli cosa? âCinque anni fa sono scappata perchĂŠ non ho voluto abbandonare la famiglia. Cinque anni fa ho avuto paura di lei e paura di me, ma sappia che non ho mai smesso di pensarlaâ? Julien è uscito da camera sua e ha detto al padre che dovevano portarmi al pronto soccorso. Mi sono rifiutata. Mentre marito e figlio si affannavano fino a trovare un tubetto di Biafine nellâarmadietto della farmacia ho guardato Gabriel in toga nera muovere le sue belle mani parlando con i giornalisti, ho visto la passione che metteva nel difendere gli altri. Avrei voluto che uscisse dallo schermo, avrei voluto essere Mia Farrow nel film di Woody Allen La rosa purpurea del Cairo. E a me? Mi avrebbe difeso? Mi avrebbe trovato circostanze attenuanti per il giorno in cui lâavevo mollato? Quanto tempo mi aveva aspettato al volante della sua macchina? Quandâè che aveva deciso di ripartire? In che momento aveva capito che non sarei tornata? Le lacrime hanno cominciato a rigarmi le guance. Colavano mio malgrado. Paul ha spento la televisione. Sono crollata davanti allo schermo nero. Mio marito e mio figlio hanno pensato che fosse colpa del dolore. Il medico di famiglia, chiamato da loro, ha ispezionato le ustioni e detto che erano superficiali. La notte non ho dormito. Rivedendo Gabriel, risentendo il suono della sua voce, ho capito quanto mi sia mancato.