“Senza Rete”
Le parole “fare sistema” non mi pare di averle trovate nel libro “Senza Rete” di Beniamino Pagliaro (ed. Guerini) e c’è da esserne grati all’autore, perché si tratta di una delle invocazioni più abusate e sterili con riferimento alle auspicabili scelte nazionali per i trasporti.
Il libro in effetti parla di reti, di nodi e connessioni. Di infrastrutture. E giustamente ne parla attraverso i traffici che sulle reti corrono o si spera che corrano, delle aziende pesanti e low cost che le usano, di tutti quei modelli di servizio e d’azienda che stanno rapidamente diventando i driver della mobilità di merci e persone.
L’Italia è descritta come un Paese pervicacemente “senza rete”, quindi pessimamente attrezzato a cavalcare i cambiamenti in atto del mondo, ma destinato a cambiare lo stesso, a dispetto di sé.
L’illustrazione dell’autolesionismo nazionale che percorre tutto il libro ha due meriti, dopo che il lettore si sia faticosamente ripreso dallo sconforto angoscioso:
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il primo è che su come funziona il mondo delle reti e della logistica il libro, pur con grande agilità , accoglie in pieno la complessità ed evita le semplificazioni che, su questi temi, sono tanto diffuse quanto dannose (in materia di trasporti semplificazioni e demagogia sono un’altra espressione dell’autolesionismo perché servono benissimo per fare scelte sbagliate),
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il secondo è che ci alza leggermente da terra e ci obbliga a guardare alle nostre scelte da diverse prospettive ma tutte un po’ più globali, che sono quelle reali oggi. Non a caso il libro inizia dal mare e si chiude un po’ sulla galassia Maersk, un po’ sulla rivoluzione del web e del software, un po’ sulla generazione under 40 che sceglie la bicicletta e “costringe l’industria a interrogarsi sul futuro”.
Il libro ha anche il buon gusto di raccontarci che succede al commercio mondiale, alla distribuzione modello Amazon, alla concorrenza nei cieli d’Europa, alle navi giganti che vanno più piano per risparmiare carburante, e anche ai treni d’Italia, senza affidarsi alla mera teoria economica, che ha largamente dimostrato di non bastare né per evitare le crisi né per governarle, neppure a valle di una crisi che ci ha trasformato da un Paese che snobbava le compatibilità economiche in un Paese in cui anche i sassi sanno che cosa siano lo spread e il credit crunch.
Il primato resta alla politica, se vuole esercitarlo. Se no, ci penserĂ qualcun altro.
A pag 28 si legge: << A Rotterdam spiegano subito che “il porto serve una rete di 350 milioni di consumatori”. In Italia si pensa ancora possa servire ai dodici operatori portuali. E invece tutto si muove: la posizione dell’Italia è quella, e infatti i traffici sono cresciuti. … Lentamente, e mentre il mondo là fuori correva >>. Pagliaro poi ricorda che forse anche noi rischiamo di cedere all’estero quote di reti strategiche, come la Grecia ha ceduto metà del porto del Pireo alla Cosco cinese.
Questo è un grande tema. Ed è un grande tema politico nel mondo globale.
Poco dopo Pagliaro ci ricorda che l’Europa può anche disegnare meravigliose reti continentali da Lisbona a Kiev, ma se poi “i burocrati di Bruxelles non riescono a convincere gli sloveni a collegare il porto di Capodistria a quello di Trieste, o quello di Marsiglia a Genova, la fanfara di idee si frantumerà su un binario morto”. L’Italia però si appassiona di più al “derby” Trieste-Monfalcone, Savona-Genova, Venezia-Trieste, Genova-La Spezia, e così via.
Che scenari abbiamo davanti è quindi il tema che ci viene posto, giustamente, come punto di partenza delle scelte politiche. A conferma di quanto esposto nel libro, aggiungo elementi che ci vengono dalle analisi di scenario:
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nel mercato italiano della logistica le grandi campagne di Acquisizione sono ormai state fatte; i grandi operatori logistici si muovo su network regionali policentrici, se non altro perché anche in Europa i mercati nazionali hanno ancora regole diverse, e proseguono la colonizzazione per arrivare a network dalle maglie più strette, specializzati per prodotto o filiera;
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la crisi ha contribuito a frammentare le commesse di trasporto, in volumi e mercati, favorendo il trasporto su gomma, il quale ha ulteriormente abbassato i noli marginalizzando la ferrovia;
- il rincaro dei carburanti favorisce la concentrazione dei carichi marittimi su navi più grandi su tragitti con meno scali. Il tema emergente è organizzativo più che infrastrutturale. Diventa indispensabile “allungare” il porto con navette verso spazi retro portuali; serve attrezzare le funzioni doganali presso gli interporti, con una certa specializzazione di questi ultimi su Corridoi di riferimento;
- la crisi favorisce il riassetto proprietario sugli asset logistici, favorendo integrazioni proprietarie verticali (es. terminal portuale-interporto);
- l’incremento dell’export, unito alla prassi italiana di vendere franco fabbrica, rafforza il peso degli operatori logistici esteri sul nostro mercato nazionale e rafforza la specializzazione per filiere;
- l’incremento dell’export spinge l’intermodalità e le alleanze tra operatori multimodali e gestori di nodi come alternativa a interventi mirati di politica dei trasporti in cui nessuno ormai confida;
- l’incremento dell’export rafforza il ruolo dell’operatore logistico come partner strategico dell’industria di produzione per l’approvvigionamento e per arrivare competitiva ai mercati di sbocco;
In un Paese come il nostro, la logistica è una delle poche “materie prime” immateriali che possiamo darci, insieme all’innovazione, alla formazione, alla regolazione smart. A condizione di coltivarle.
di Alberto Brandani
Presidente Fondazione Formiche
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