28 Maggio 2015
La sicurezza energetica appare ormai una priorità politica di assoluta importanza per l’Unione europea, che si mostra sempre più impegnata nell’attuazione di misure volte allo sviluppo della produzione interna di idrocarburi in determinate aree (Mediterraneo, Mar Nero e Mare del Nord) e nell’ampliamento della rosa dei fornitori guardando con interesse verso l’Africa, il Nord America, il Caucaso e l’Australia.
Le vicende legate alla crisi russo-ucraina, così come alle guerre civili in Libia e Siria, se da un lato, possono essere considerate vere e proprie minacce alla sicurezza energetica dell’UE (che importa il 53% dell’energia che consuma), dall’altro lato, sembrerebbero costituire terreno fertile per l’effettiva realizzazione delle misure messe in campo a livello sovranazionale.
Basti pensare alle recenti iniziative intraprese dall’Esecutivo comunitario, a partire dalla strategia proposta per la creazione di un’“Unione dell’energia”, definita dal Vicepresidente della Commissione europea Sefcovic come “il progetto politico più ambizioso dalla creazione della Ceca”. Ma anche al richiamo formale presentato nei confronti della compagnia russa Gazprom, indagata per aver abusato della posizione dominante di cui gode sui mercati del gas naturale dell’Europa centrale e orientale, violando così la normativa comunitaria in materia di concorrenza. Tra le motivazioni del richiamo figura la politica dei prezzi sleale che Gazprom avrebbe praticato nei contratti di fornitura siglati con cinque Stati membri (Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia), basata sull’utilizzo di una formula di indicizzazione del prezzo del gas in base ad un paniere di prodotti petroliferi.
Si tratta di iniziative che potrebbero rimuovere gli ostacoli alla creazione di un mercato unico del gas, dove il prezzo sarebbe determinato dall’incontro tra domanda e offerta, incidendo sullo smantellamento dei contratti di importazione “oil-indexed” praticati dai fornitori extraeuropei e sulla riduzione del differenziale dei prezzi tuttora esistente tra i Paesi dell’Unione. Secondo l’agenzia internazionale di rating Fitch, il richiamo della Commissione nei confronti di Gazprom è in grado di avviare un allineamento della politica dei prezzi del gas naturale nei Paesi dell’Europa centro-orientale, a cui è imputabile circa il 30% delle vendite del colosso russo del gas, con quella dei Paesi dell’Europa nord-occidentale dove sono prevalenti i prezzi hub.
La possibilità di ampliare il numero dei fornitori di gas naturale agevolerebbe anche la creazione della rete transeuropea di infrastrutture per l’energia, rendendo a sua volta vantaggioso lo sviluppo dei rigassificatori e, più in generale dello stoccaggio, e favorendo la componente “spot” rispetto ai contratti di fornitura di lungo periodo finora negoziati sulla base della formula “take or pay”.
La sicurezza energetica deve essere considerata una priorità politica di assoluta importanza anche per l’Italia alla luce della forte dipendenza dalle importazioni estere (pari all’80% del suo fabbisogno di energia) e, dunque, dell’elevata esposizione al rischio di interruzione di tali forniture. Il petrolio costituisce la fonte di energia più utilizzata nel nostro Paese (35,2% dei consumi energetici totali), seguita dal gas naturale (32,4%) che vede la società russa Gazprom affermarsi quale primo fornitore, malgrado il calo delle sue vendite registrato tra il 2013 e il 2014. Hanno un peso strategico anche i flussi di fornitura di gas provenienti dalla Libia tramite l’operatività del gasdotto Greenstream.
Oltre alla soddisfazione del fabbisogno energetico, il gas può contribuire alla creazione di opportunità di crescita per il nostro Paese che, in particolare, dovrebbe scendere in campo per contendersi il ruolo con la Spagna di “hub del gas liquido” nel Mediterraneo.