L’eterna giovinezza… di Milly e del suo lavoro

17 Feb
17 Febbraio 2016

Ballando con le stelle

Domani Porta a Porta celebrerà i suoi 20 anni e tra i primi ospiti di quel lontano ’96 vi era Milly Carlucci. Bella, colta e radiosa. Viene da chiedersi quale sia il segreto di questa eterna freschezza. Certamente influiscono la serenità degli equilibri familiari e una vita morigerata (alimentazione perfetta e la sera a letto presto). Però il vero segreto consiste nella continua capacità di fare il suo lavoro, rinnovandone gli entusiasmi, le atmosfere, i colori ed i protagonisti.
Solo così si spiega il rapporto d’amore che dura ormai da anni fra Milly, gli italiani ed il ballo in tv.
Era il 2004 quando Milly Carlucci irruppe negli uffici della società di produzione Ballandi dicendo di aver visto sulla BBC inglese un programma meraviglioso: “Strictly come dancing”.
Era il periodo in cui in tv il ballo e i balletti erano visti piĂą o meno come il demonio, una sorta di intermezzo pubblicitario, come una pausa nel vero spettacolo, fatto spesso di comici e canzoni.
Imperversavano Fiorello e Panariello, Morandi e Celentano, “one man show”, dove il ballo al massimo era ridotto a ruolo di stacchetto.
Così l’idea non è che piacque molto, ma il generale Carlucci, come la chiamano nei corridoi di mamma Rai per il suo spirito battagliero, ha cominciato a stalkerizzare chiunque gli capitasse a tiro e alla fine l’allora direttore di Raiuno Fabrizio Del Noce cedette al forcing della bionda conduttrice.
Quattro puntate da effettuarsi a gennaio 2005.
“Ma vedrai che lo chiuderanno dopo due puntate”, si vociferava nei mitologici corridoi, “… capirai il Sabato su Canale 5 c’è il Bagaglino!”.
E invece il programma danzerino della Carlucci ottenne un successo straordinario e le puntate divennero otto. “Ballando con le stelle” ha dato il via alla formatizzazione del programma che, non a caso, nel resto del mondo usa la traduzione del titolo italiano, negli Stai Uniti per esempio “Dancing with the stars”.
L’anno successivo, forte dell’ingaggio di Maradona e del consolidamento dell’affetto del pubblico, “Ballando con le stelle” prevalse largamente contro “C’è posta per te” di Maria De Filippi. Da lì in poi tante edizioni con tante stelle da Naomi Campbell e Emanuele Filiberto, da Bobo Vieri a Anna Oxa.
Un po’ come la settimana enigmistica il programma ha vantato nel tempo diversi modesti tentativi di imitazione quali “Let’s dance” con la De Filippi, “Baila” con Barbara D’Urso e “La Pista”con Flavio Insinna.
Milly è pronta a tornare in pista Sabato 20 Febbraio, su Rai 1. A riaccendere la febbre del sabato sera ci saranno Rita Pavone e Lando Buzzanca, Pierre Cosso e Asia Argento, Salvo Sottile e Enrico Papi, Platinette e Margareth Madè, la campionessa down Nicole Orlando e il divo del Segreto Iago Garcia. E poi un tris di belli, i semisconosciuti Daniel Nilsson, Michele Morrone e Luca Sguazzini. Anche noi telespettatori stiamo scaldando i motori!

Perché avere ancora fiducia nel Monte

21 Gen
21 Gennaio 2016

mps-1

In questi giorni il vertiginoso crollo della azioni del Monte Paschi (in poche sedute perduto oltre il 36% del valore) ha indotto analisti e commentatori a immaginare scenari disastrosi. Quando un fenomeno si fa collettivo, bisogna cercare di capire i perché di natura reale e quelli di natura psicologica. Nella caduta di Mps vi sono molti elementi che nulla hanno a che vedere con la reale solidità della banca. Vediamo quali:

  • Il crac di 4 banche e i continui rigurgiti giudiziari su una scellerata gestione del Monte, antecedente alla attuale gestione hanno indotto molti risparmiatori a ritenere che fosse il caso di “levare le tende”;

  • Secondo analisti di Londra l’ondata di vendite con una evidente speculazione ribassista ha trovato possibili esecutori in grandi fondi statunitensi non controbilanciati da normali offerte di acquisto;

  • Strumenti legislativi (esempio bail in) di la da venire sono stati però vissuti come un immediato problema;

  • La mancata decisione sulla costituzione della bad bank per lo smaltimento di circa 200 miliardi di sofferenze del sistema bancario assommatasi in circa 7 anni di difficoltĂ  economiche, è la riprova piĂą vera che, per tagliare l’erba sotto i piedi della speculazione, la costituzione di questo veicolo è ormai indifferibile; il non farlo “sarebbe un grave atto di insipienza e irresponsabilità”; “dopo avere affinato l’interlocuzione tecnica con Bruxelles, gli stessi commissari competenti fanno sapere che tempi e modi della scelta dell’istituendo veicolo sono di esclusiva responsabilitĂ  dell’esecutivo italiano” (cfr. Angelo De Mattia).

Ma tutto questo ha a che vedere con l’azione positiva del Monte? A noi non pare se consideriamo l’enorme lavoro portato avanti in questi anni e in questi mesi. Ridurre lo stock dei crediti deteriorati, proseguire sulla spinta dei ricavi da commissione, rimanere focalizzati sugli impieghi, continuare nell’abbattimento del cost management, tutto questo in linea ed oltre con gli obiettivi previsti nel piano industriale 2014-2018.

Con l’entrata a pieno regime del Meccanismo di Vigilanza Unico, MPS è tra le 15 banche italiane soggette alla vigilanza diretta della BCE. Questo fatto pone in capo a MPS degli obblighi di trasparenza estremamente stringenti verso la BCE, verso il mercato e verso la clientela.

MPS è stata quindi sottoposta a partire dal novembre 2013 alle severe verifiche di BCE per valutare la solidità delle banche in prospettiva.

Dopo il Comprehensive Assessment del 2013 a novembre scorso la decisione della BCE è stata di indicare a MPS il mantenimento di un requisito patrimoniale minimo in termini di CET1 (Common Equity Tier 1) del 10,2% per il 2016 e del 10,75% per il 2017.

Al 30 settembre 2015, il CET1 del MPS si attestato al 12% superiore quindi al requisito regolamentare.

In buona sostanza oltre ad essere sottoposta ad una diretta e continua vigilanza da parte della BCE, la banca ha messo in atto un processo di rafforzamento patrimoniale, efficienza operativa e di alleggerimento dell’attivo finanziario.

A questo si aggiunga la chiusura di posizioni problematiche lasciate dalla precedente gestione (vedasi operazione Alexandria) ed un complessivo miglioramento del profilo di rischio nel pieno rispetto del piano concordato con il regolatore europeo.

Viola ed i suoi collaboratori hanno fatto un lavoro straordinario e senza nulla togliere a loro vorrei aggiungere che il fair value che esercita Siena e la più antica banca del mondo lo si è visto nel fatto che due aumenti di capitale, per qualcosa come 16.000 mld delle vecchie lire, sono stati assorbiti in un battibaleno da un mercato internazionale che ha un’attenzione dilatata dal fascino misterioso che questa grande banca continua ad esercitare su economisti e gente del popolo, piccoli azionisti e grandi speculatori che tutti in fondo la vorrebbero possedere e posseduta.

L’articolo è stato pubblicato sul Corriere di Siena Giovedì 21 gennaio:

Corriere di Siena, 21 gennaio '16

Dalla lotta all’evasione fiscale nuova ricchezza per lo Stato?

11 Gen
11 Gennaio 2016

Milano, lotta all'evasione fiscale, solo un negozio su tre fa lo

“In questo mondo non v’è nulla di sicuro, tranne la morte e le tasse”, scriveva Benjamin Franklin nel lontano 1789, eppure in Italia non sono sicure nemmeno quelle, o almeno non per tutti. Ce lo suggerisce il Centro Studi della Confindustria (CSC), che ha recentemente stimato l’evasione fiscale e contributiva in 122,2 miliardi di euro (una cifra pari al 7,5% del PIL italiano), e più autorevolmente il Presidente della Repubblica nel suo messaggio dell’ultimo dell’anno, ricordandoci come “gli evasori danneggiano la comunità nazionale ed i cittadini onesti”.
Come è spiegabile una realtà del genere?
L’evasione fiscale è per sua natura un fenomeno complesso e multiforme, da sempre radicato nei sistemi tributari di ogni paese, e la letteratura economica non ha mancato di interessarsene. Senza dovere necessariamente ricorrere al pioneristico lavoro di Allingham e Sandmo sulla cosiddetta “tax compliance”, è comunque noto che l’evasione deriva in primo luogo da comportamenti “opportunistici”. Infatti, di fronte all’obbligo del pagamento delle imposte il soggetto valuta quella che gli economisti definiscono la “strategia ottimale” da seguire in funzione dell’imposta dovuta, della personale propensione al rischio, ma anche della probabilità di sfuggire al controllo e dell’ammontare della sanzione, con esiti che sono diversi da persona a persona, da soggetto a soggetto e, in termini aggregati, da paese a paese.
Il risultato per l’Italia sono proprio quei 122 milioni di “tax gap” (di mancato gettito) che ci collocano tra i paesi europei a maggiore evasione e che chiamano in causa i cittadini disonesti almeno quanto l’Amministrazione, sia dal lato dell’efficienza e della capacità di accertamento sia da quello della complessità del sistema fiscale e tributario.
Tale primato comunque, oltre a rappresentare un problema per il bilancio dello Stato indirizzando il prelievo (la pressione fiscale “effettiva” è ora del 54,9% tra le più alte d’Europa) verso quelle basi imponibili che possono sottrarsi con maggiori difficoltà alla tassazione, ha conseguenze anche in termini di equità tributaria (specie orizzontale) finendo per minare gli elementi di coesione sociale e le condizioni di concorrenza sui mercati, con riflessi negativi sull’efficienza di sistema.
Viceversa, immaginando un dimezzamento del cosiddetto “tax gap”, e dunque un recupero per l’Erario di 61 miliardi di euro calcolato sulla base della stima dell’evasione, gli effetti macroeconomici sarebbero nettamente positivi. Al riguardo il CSC calcola un aumento del PIL del 3,1%, una crescita di consumi ed investimenti superiore al 5% ed una ripresa occupazionale quantificata in 335mila unità.
Complice la crisi economica, che ha sicuramente acuito la percezione del fenomeno ed ha agito da catalizzatore nel far maturare un (più) profondo sentimento di disapprovazione sociale, il contrasto all’evasione è ora apprezzato dal 60% degli italiani, mentre poco di meno sono quelli che considerano la lotta all’evasione addirittura una priorità per lo Stato. Un consenso importante sul quale fare leva per spingere non solo il legislatore a fare meglio, ma per operare innanzitutto un cambiamento culturale al fine di far passare il concetto che pagare le tasse significa stare nella comunità e sentirsi partecipi del bene comune.
Ci sarebbe in verità da aggiungere la grande riflessione sul fatto che pagare tutti fin’ora non ha necessariamente corrisposto a pagare meno. Ma di questo e di altre materie attinenti l’evasione parleremo prossimamente.

(Continua)

Giancarlo Castelvecchi, l’aedo dell’isola perduta, ci lascia un importante patrimonio

08 Gen
8 Gennaio 2016

Giancarlo Castelvecchi

Giancarlo Castelvecchi, l’aedo dell’isola perduta, ci lascia un importante patrimonio: pittorico, perchĂ© con la sua opera ha rappresentato come pochi i colori, i sapori e le atmosfere dell’Elba, in tutte le sue sfumature cromatiche.
Culturale; perchĂ© è stato per cinquant’anni instancabile animatore del Premio Brignetti e devo a lui e alle sue insistenze cortesi e affettuose la mia esperienza nel Premio Letterario che data dal 1985.
Umano; ha sempre usato come metro di vivere la comprensione e la tolleranza non disgiunta però da un humor e da una vena linguistica sempre ricca e ironica.
Sono sicuro che da lassĂą ci guarda sereno e scanzonato.

Ferrovie, lasciamoci così senza (?) rancore

27 Nov
27 Novembre 2015
Frecciarossa 1000

Frecciarossa 1000\

Finisce malinconicamente un anno e mezzo di baruffe pasticciate nella holding Ferrovie dello Stato, un gigante di dimensioni europee. Fin dagli inizi il governo non aveva chiarito bene i poteri del presidente e quelli dell’amministratore delegato, quasi lasciando intendere che la governance, cioè i poteri dell’azienda, fosse materia da consigli di amministrazione.
Ovviamente (e meno male) non è così.
I poteri sono disciplinati dagli statuti delle aziende e la filosofia è che in ogni azienda vi debba essere uno ed uno solo capo azienda, cioè l’amministratore delegato.
Tutte le volte che i presidenti hanno cercato di fare gli amministratori delegati e/o viceversa i risultati sono stati funesti.
Bene invece è il criterio secondo il quale il presidente debba avere la delega sull’internal audit.
Il presidente Marcello Messori si è sentito probabilmente defraudato mentre Michele Elia, l’amministratore delegato era abituato ad un consiglio ed a un presidente coeso con il manager capo azienda (per intendersi modello Moretti).
Michele Elia era stato scelto perché era l’usato sicuro che aveva dato grande prova di sé ad Rfi e bisogna onestamente dire che i risultati gli hanno dato ragione anche a capo di Fs che ha continuato a sfornare utili e risultati. Se ne va, in punta di piedi, un manager preparato e per bene.
Arriva Mazzoncini: lo consideriamo capace, volitivo e con una buona visione strategica. Trova un management di prim’ordine da Gentile a Rfi, a Soprano a Trenitalia, a Morgante e Stefano Savino in Fs e se saprà amalgamare vecchie e nuove energie, i risultati non mancheranno.
Ma se il Governo non vuol bruciare anche Mazzoncini faccia chiarezza su come e su cosa voglia fare. Gli analisti e i consulenti si dividono equamente: privatizzare una quota dell’intero pianeta Ferrovie o fare il cosiddetto “spezzatino” e quindi privatizzare in parte?
Su questo siamo abbastanza fiduciosi perché il premier Renzi alla fine deciderà.
Sullo sfondo ma non proprio in fondo un enorme patrimonio umano (80.000 dipendenti più un conseguente indotto), uno sconfinato bagaglio tecnologico, un grande Museo di storia industriale e le attese di decine di milioni di utenti giornalieri.

L’Isis e il colore dei nostri occhi

17 Nov
17 Novembre 2015

We weep but never fear

Sono passati quasi tre giorni dalla mattanza di Parigi. Per ore me ne sono stato a riflettere pieno di angoscia perché ho pensato che l’Isis fosse riuscita nel suo intento, togliere cioè i colori della vita e della speranza, della felicità e della spensieratezza dagli occhi di noi europei.
Come? Colpire una splendida partita, un affascinante concerto rock e ristoranti affollati. Abbiamo purtroppo avuto giĂ  modo di dire in precedenti articoli quello che vediamo ora scrivere in molti e che sommariamente vogliamo di nuovo ricapitolare.
Lo scontro con l’Isis può essere vinto a tre condizioni (ne avevamo parlato qua):

La prima di tipo diplomatico, serve una coalizione decisa e univoca negli obiettivi dalla Nato agli Stati Uniti, dalla Russia alla Giordania agli Emirati Arabi, passando anche all’indispensabile ma chiaro apporto che dovrà dare la Turchia;

La seconda di tipo militare, va combattuto con truppe di terra nel teatro delle operazioni belliche vere e proprie. Non si può pensare che i peshmerga curdi possano da soli contrastare gli ottantamila uomini che tutti i servizi ritengono sia l’attuale forza militare del califfato;

La terza di tipo strategico. Occorre varare un piano Marshall di aiuti alla Tunisia, Libia ed Algeria che consenta a questi Stati di ridurre al minimo la sacche di disperazione, disoccupazione e crescente criminalitĂ  che sono riserva di caccia ideale per i reclutatori del fanatismo terroristico.

L’Europa va da sé deve rilanciare un Piano credibile per le grandi migrazioni dettate dalla povertà, dalle schiavitù di ogni tipo, ma anche da sapienti infiltrazioni camuffate.
Bisogna renderci conto che i duecentoquaranta civili morti nell’aereo russo sul Sinai sono fratelli nel dolore degli amici francesi.
Se l’Europa non volgerà altrove lo sguardo in una sorta di suicidio collettivo (della serie purché non sia nel mio cortile), può ancora farcela.

Gramellini a ringraziare Ferrero può pensare lei?

17 Nov
17 Novembre 2015

Salone del Libro di Torino

E’ un peccato che Massimo Gramellini abbia avuto l’influenza e che non abbia avuto modo probabilmente di seguire l’odissea del Salone del libro di Torino, la seconda realtà europea di questo difficile mercato. Ogni anno al Lingotto arrivano in cinque giorni quasi 300.000 visitatori, migliaia di scrittori, centinaia di editori e tutto viene guidato dall’indiscussa e indiscutibile autorevolezza di Ernesto Ferrero.
Come ormai sanno tutti gli addetti ai lavori, a maggio Ferrero era stato congedato dalle autorità preposte a decidere. Talvolta però le vicende si complicano ed in questo caso le signore designate al ruolo di presidente della Fondazione e di direttore del Salone, in un crescendo rossiniano, si sono presto accapigliate ed alla fine la direttora ha gettato la spugna. A quel punto (siamo ai primi di settembre) la situazione era veramente compromessa e a Chiamparino e Fassino, persone serie e specchiate, non è restato altro che richiamare in gran fretta il vecchio Ferrero chiedendogli se poteva far loro la cortesia di riprendere in mano il Salone del libro. Ernesto, sabaudo di nome e di fatto, ha obbedito e si è messo subito al lavoro per salvare una manifestazione che è diventata un vanto nazionale.
Ci saremmo aspettati che la città registrasse questo fatto come un segno di vitalità. Ma oggi le città sono un po’ apatiche e forse non si appassionano all’idea che un signore non più giovanissimo riesca ancora ad amalgamare i lettori e gli autori, le case piccole con le grandi, i bambini ed i ragazzi con gli specialisti di discipline difficoltose.
Infatti in un grande articolo sulla Stampa (udite! udite!) si avverte che Ferrero non può essere retribuito per la celeberrima (negativamente) legge Madia che vorrebbe i pensionati solo ai giardinetti. In verità qualche accorgimento perfettamente legale per superare la difficoltà si potrebbe trovare, ma forse manca la volontà politica. Ma tant’è, Ernesto Ferrero annuncia che non può mollare la nave proprio adesso, e dunque svolgerà gratuitamente il suo ruolo sottraendo tempo alla sua famiglia, ai suoi studi e un pò anche alla sua salute, perché certamente in queste condizioni qualche arrabbiatura gli sarà pure venuta.
Ci saremmo aspettati un qualche pubblico ringraziamento per il vecchio Ferrero ma sinceramente non ce ne siamo accorti ed allora ci siamo detti: chissĂ  che Massimo Gramellini non pensi lui a farlo a nome di tutti.