Author Archive for: Alberto Brandani
Il Prof. Brandani presenta: “Francesco e il Sultano”, di Ernesto Ferrero
Pubblicato su “La Freccia”, ottobre ’19
Nel giugno 1219 Francesco d’Assisi trentasettenne parte per nave alla volta dell’Oriente e si lancia in una impresa disperata insieme al fidato frate Illuminato. Raggiungere Damietta assediata dai crociati e incontrare il Sultano d’Egitto. Questo il vero incipit del romanzo storico di Ernesto Ferrero Francesco e il Sultano, nelle librerie dal 24 settembre. Ma il suo autore ci ha lavorato per anni con la cura paziente di un artigiano mai contento e sempre pronto a rimettersi in discussione.
Un romanzo storico, un romanzo biografico, ma anche un romanzo corale di viandanti sempre in movimento, di eterni pellegrini agitati da una sete di assoluto, sempre in viaggio per l’Italia, l’Europa, l’Oriente.
Ma lo si può anche definire un romanzo d’avventura, di cui ha pure il ritmo, e non solo perché è ambientato per buona parte in Egitto e in Palestina, dove è in corso una guerra feroce, in cui gli eserciti cristiani assediano Damietta. Quella che Francesco propone, in primo luogo a sé stesso, è l’avventura di una sfida estrema, sorretta da una tensione che non ammette soste: è il dono totale di sé agli altri, la sottomissione ad ogni creatura vivente. Francesco è un santo itinerante, sempre in marcia verso qualcosa, insoddisfatto di sé, al centro di una vicenda collettiva che è la vera protagonista della storia. Un Medioevo formicolante di personaggi memorabili viene colto nella sua complessità e nelle sue mille sfaccettature come se fosse ripreso dall’alto, da un drone. Il romanzo restituisce il Francesco mistico e rarefatto degli affreschi della basilica di Assisi alla sua fisicità, al linguaggio del corpo, al lavoro manuale che tanto lo appassiona, e che a lui sembra «un buon modo di parlare con Dio». La sua fisicità erompe nell’assoluta novità della sua predicazione, fatta anche di canto e di danza. Geniale uomo di spettacolo e oggi diremmo maestro di comunicazione. La sua fede non è intellettuale o libresca, ma nasce direttamente dalla corporalità, dall’amore per l’uomo così com’è, dalla misericordia, dal rifiuto di giudicare. Ma il romanzo racconta anche la storia di un tradimento e di una contraffazione. Un tradimento che arriva ad attribuire a Francesco, per mano di Bonaventura da Bagnoregio – diventato suo biografo ufficiale – un gesto aggressivo e così poco francescano quale l’aver sfidato il Sultano alla prova del fuoco, poi dipinta da Giotto o da chi per lui ad Assisi.
Questo falso d’autore forse nasconde la dirompente novità di un dialogo fatto di rispetto e di comprensione reciproca che avrebbe potuto cambiare il corso della storia e che il romanzo prova a ricostruire. Il mare della storia fluisce verso il lettore e lo conduce nel porto del dialogo tra le grandi religioni
Il Prof. Brandani presenta: ”La bellezza rubata”, di Laurie Lico Albanese
Pubblicato su “La Freccia”, Settembre ’19
La bellezza rubata è un romanzo di memorie, quelle memorie che fanno parte del nostro vissuto sociale e culturale (anche se non ce ne accorgiamo) e che, se andassero dimenticate, farebbero perdere un tassello dell’identità unica della nostra storia.
Il libro di Laurie Lico Albanese si sviluppa su due filoni e si svolge in un arco temporale che dura più di un secolo (dalla fine del 1800 fino ai primi anni 2000). Vienna è lo scenario principale, città di sogni e magnificenza che inizia ad aprirsi alle modernità artistiche che meglio rappresentano la verità e la condizione umana, ma dove cominciano anche a svilupparsi i primi focolai dell’antisemitismo.
Adele e Maria sono zia e nipote di origini ebraiche, ma ciò che le ha legate maggiormente non è stato il tempo trascorso insieme (sfortunatamente esiguo) piuttosto i loro caratteri determinati, l’amore per la famiglia, il disprezzo per le ingiustizie e l’arte.
Adele fin da bambina ha sempre mostrato un’acuta intelligenza, amore per l’arte ed una feroce curiosità; tutte doti che all’epoca erano considerate superflue per una donna. Nonostante ciò, grazie alle possibilità della sua famiglia e, soprattutto, grazie al matrimonio con un uomo che l’ha amata e compresa, ha potuto soddisfare i suoi desideri di conoscenza ed è potuta entrare in contatto con le personalità più importanti dell’epoca a Vienna.
Qui conosce Gustav Klimt, artista carismatico e all’avanguardia e lei diventa soggetto di ispirazione per alcuni quadri che sono ancora oggi famosi in tutto il mondo.
Maria comincia il suo racconto nel 1938 quando i nazisti entrano a Vienna e intraprendono il processo di arianizzazione. Di fatto usavano la violenza per espropriare gli ebrei da tutto quello che avevano (case, beni, società lavorative…) obbligandoli a firmare delle carte che rendessero “legittimi” quei furti; tra i numerosi beni confiscati alla famiglia di Maria c’era un quadro della zia Adele ritratta da Klimt.
L’invasione dei tedeschi obbligò tutti gli ebrei a scappare in clandestinità, così anche Maria cominciò il suo viaggio ma, anche dopo molti anni, il pensiero correva al quadro della zia. Lo zio aveva cercato invano di recuperarlo e in punto di morte le aveva chiesto di continuare a cercarlo.
Credo che uno dei messaggi che ci ha voluto trasmettere l’autrice sia quello di salvare la bellezza. Facendo riferimento all’arte «ogni arte ha il suo tempo, ma la bellezza rimane per sempre».
Ogni artista ha sentito e sentirà l’esigenza di adeguare i propri lavori al contesto sociale o alla propria personalità, ma se quello che riuscirà ad esprimere sono le emozioni, le debolezze, le passioni di questo mondo e degli uomini, allora la sua arte durerà nel tempo.
Chi ha paura delle belle ragazze di Miss Italia?
Miss Italia è sempre stata per l’italiano medio un concorso di bellezza abbinato allo stile, all’eleganza e ad una grande opportunità per le concorrenti. Concorrenti che come ormai tutti sanno sono colte, emancipate e consapevoli che la beltà loro concessa dal buon Dio da sola non basta. Ma dall’antica Grecia di Platone alle veneri del Botticelli perché negare che la bellezza senza tempo affascina l’uomo? Come in un immaginario fotomontaggio ci scorrono davanti agli occhi le immagini della intrigante Bosè, della sensuale Mangano, della travolgente Loren, della indecifrabile Cucinotta, della magnetica Colombari.
Belle da togliere il fiato ma non solo belle. E con questo sentimento di amarcord per una trasmissione che è una sorta di Sanremo della bellezza che mi sono prima meravigliato e poi sorriso mestamente di come maitre a penser o presunti tali abbiano voluto vedere servaggi che non ci sono e men che mai mercificio della carne. Qualcuno ha scomodato anche i consigli di amministrazione. Forse non avendo dimestichezza con le più collaudate governance del mondo occidentale secondo le quali i consigli di amministrazione debbono dettare le linee strategiche ma non è che possono, o debbano, o sappiano combattere la contro programmazione giornaliera che è una battaglia dura e all’ultimo sangue tra le grandi reti generaliste. Ed in questo senso è stato invece a mio avviso un colpo magistrale il recupero a Rai1 della messa in onda di tale spettacolo. Un archetipo dei talent show con quella classe e quello stile che nei talent show purtroppo non sempre alberga.
Non vorremmo osare troppo ma forse le concorrenti ci sembrano davvero le femministe del nuovo secolo, coscienti di tutto ciò che appunto posseggono e molto consapevoli anche degli obiettivi che si prefiggono. Molte di esse pensano o sperano di fare le giornaliste televisive ed allora se la bellezza salverà il mondo o quantomeno lo aiuterà a vivere meglio stiamo sereni. Come ha detto bene Martina Colombari, donna splendida e bellezza eternamente magnetica “Miss Italia per me è stato un trampolino di lancio, se non lo avessi fatto probabilmente avrei portato avanti l’attività dei miei genitori che avevano un ristorante”.
Godiamoci questa serata senza attribuirle significati politici o filosofici. È una trasmissione che allontana i problemi giornalieri e che ci riconcilia con la bellezza. Le concorrenti sorridano, tranquille: la bellezza non è peccato e nessuno ne ha paura.
Il Prof. Brandani presenta:”Il Novecento. Dal Futurismo al Neorealismo”, di Vittorio Sgarbi
Pubblicato su “La Freccia”, Agosto ’19
In anni lontani ma non tali da non scorgerne ancora le linee guida ho studiato e riflettuto su scritti tutti all’epoca “celeberrimi”. Quelli di Eugenio Garin sul Rinascimento e quelli affascinanti di Jacob Burckhardt (La civiltà del Rinascimento in Italia e Meditazioni sulla storia universale). Il tutto alla luce di quella perfetta e quasi inarrivabile cattedrale gotica che era la filosofa di Hegel: uno spartiacque della storiografia moderna perché non era possibile confrontarsi con i grandi movimenti culturali del Novecento senza prima aver inteso qualcosa di questo professore di filosofia che morto prematuramente, per tutta la vita aveva cercato di comporre un ordine universale delle cose sulle quali tutte dovesse aleggiare il Weltgeist, lo spirito del mondo. È proprio questa acuta intuizione di Vittorio Sgarbi che mi ha condotto ad una lettura prima disordinata e poi più composta del primo volume de Il Novecento. Dal Futurismo al Neorealismo, La nave di Teseo, con la bella introduzione di Franco Cordelli. Lascio la parola all’autore che meglio di ogni altra mia interpretazione succintamente racconta tutto in una paginetta.
«Per spiegare il senso profondo di questo nuovo volume, dedicato al Novecento, occorre risalire al pensiero del filosofo Georg Wilhelm Friedrich Hegel: lo Spirito del mondo si manifesta in ogni epoca in un determinato luogo. E dunque, per tornare nel nostro contesto, lo Spirito del mondo appare nel Trecento a Padova, con Giotto. È ancora a Padova nel Quattrocento, con Donatello e Mantegna, anche se il baricentro è prevalentemente a Firenze. Nel Cinquecento è a Roma, e la sua forza perdura anche nel Seicento, con Caravaggio e con il Barocco. Nell’età neoclassica inizia a vacillare il primato dell’Italia, e si annunciano fenomeni molto rilevanti in Francia, i quali poi irrompono, alla fine dell’Ottocento, con gli impressionisti.
L’Italia perde lo Spirito del mondo.
Insomma, se Modigliani avesse lavorato a Livorno, e si fosse ispirato al solo “primitivismo” italiano, non avrebbe avuto la stessa eco, come dimostra la vicenda dei macchiaioli o di Ghiglia; e probabilmente analogo discorso si potrebbe fare per Picasso: se fosse rimasto in Spagna e non avesse conosciuto Parigi, sarebbe stato “Picasso”?».
Con questa premessa teoretica, il resto è il tentativo, devo dire grandemente riuscito, di tanti piccoli capitoli che salvano ciò che questi autori esprimono mentre il Weltgeist è volato via. Un linguaggio essenziale, breve, unisce l’eleganza della rappresentazione ad una caratteristica pedagogica altamente pregevole. Si resta stupefatti di fronte a tanta bellezza aiutati eccome da un accurato apparato iconografico.
Bene inteso a Vittorio Sgarbi, alla sua sterminata cultura ed alla sua impenitente considerazione di sé non serve certo l’elogio di questo articoletto ma ricordare i Labronici o Cagnaccio di San Pietro, Modigliani o l’incantata presenza di Virgilio Guidi è un esercizio a me pare magistralmente riuscito