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Il Prof. Alberto Brandani presenta: “Quirinale” di Bruno Vespa
Pubblicato su “La Freccia”, luglio 2021
Bruno Vespa, scrittore versatile e poliedrico come pochi altri nel panorama italiano, accompagna le stagioni della nostra vita con libri sempre stimolanti. Miniere di informazioni, aneddoti, ritratti. In attesa del volume finale della grande trilogia sul Fascismo, che tirerà il bilancio complessivo del ventennio mussoliniano, in Quirinale traccia la storia di 75 anni di Repubblica italiana. A ogni presidente è dedicato un capitoletto pubblico e un’appendice privata, attraverso un periodare semplice e accattivante e, soprattutto, universalmente comprensibile. Nessuna finalità didattica nell’esporre la vita e le opere dei presidenti della Repubblica italiana. Ma la cosa sbalorditiva è che ciò, comunque, si realizza: Vespa fa conoscere ai giovani sprazzi di storia, fa riflettere gli adulti e fa ricordare i più grandi di età (come si dice a Livorno).
Due sono le cose che più colpiscono: il dramma del presidente Leone, completamente innocente e aggredito da una campagna di stampa falsa e diffamatoria, insieme alla bellissima moglie Vittoria – Vespa tratta questo personaggio femminile con le sue pennellate migliori – e il fastidio o l’ostilità che ben tre capi dello Stato hanno nutrito verso Silvio Berlusconi.
La carrellata sui presidenti inizia con Enrico De Nicola, il primo della storia repubblicana, che non concesse subito la sua adesione. Fu quindi la volta di Luigi Einaudi, che aveva votato monarchia nell’ultimo referendum. Grande economista, riuscì a garantire un bilancio dello Stato in perfetto equilibrio (come dopo di lui non è più successo). Poi Antonio Segni, con il primo Governo di centrosinistra presieduto da Aldo Moro. E Sandro Pertini, che continuò ad abitare nel suo appartamento in affitto nel centro di Roma. Vespa lo chiama “il Gian Burrasca del Quirinale”, per le sue popolarissime intemperanze. Giuseppe Saragat, tirannico e presuntuoso: rientrò in Italia dopo la caduta di Mussolini e si adoperò sempre per l’unità socialista e un accordo con il Pci. Francesco Cossiga, il “picconatore”, con il quale Vespa, in qualità, all’epoca, di direttore del Tg1, ebbe scontri accesissimi, in contrasto con la profonda amicizia che nacque fra le rispettive famiglie. Carlo Azeglio Ciampi, l’uomo dell’euro, e Giorgio Napolitano, decisamente interventista, l’unico a essere stato rieletto due volte. Infine, Sergio Mattarella, il “nostro” presidente. Esponente della corrente democristiana che si rifaceva a Moro, uomo riservato e schivo, ha saputo imporsi con determinazione di fronte a tre crisi di Governo durante il suo settennato. Memorabile il suo discorso a reti unificate dello scorso febbraio: «Avverto il dovere di rivolgere un appello a tutte le forze politiche affinché conferiscano fiducia a un Governo di alto profilo non politico, che faccia fronte subito a gravi emergenze non rinviabili».
Un appello a cui tutti hanno risposto sì. Accanto a ciascun presidente, una figura femminile: le mogli, mai scialbe o banali. Indimenticabile Carla Voltolina Pertini, che non usò mai il cognome del marito: proseguì la sua carriera di dottoressa in psicologia e stabilì con il presidente che il Quirinale avrebbe dovuto essere solamente il suo ufficio. E Vittoria Leone, la bellissima e corteggiatissima first lady che fu sempre perseguitata da una stampa scandalistica irrispettosa. Poi, Ida Pellegrini Einaudi, che s’innamorò, ricambiata, del suo professore. Donna semplice, schietta e generosa, mise a disposizione dei bisognosi un terzo delle dotazioni annuali del presidente. E Franca Ciampi, che conobbe Carlo Azeglio sui banchi di scuola. S’innamorò dei suoi capelli biondi e degli occhi azzurri e dopo la guerra si sposarono.
A gennaio scadrà il mandato di Mattarella e sarà eletto un nuovo capo dello Stato. Ancora non lo conosciamo, ma una cosa è certa: chiunque salirà al Colle supremo saprà rendersi garante della nostra Costituzione.
Un assaggio di lettura
Lo Scaffale della Freccia
Bernabei, ritratto dell’uomo di fiducia (fotogallery e articolo)
L’onorevole Maria Elena Boschi, il sindaco De Mossi e il professor Brandani e il libro ’sull’inventore della Rai’
Di Simona Sassetti
È sembrato di tornare indietro nel tempo ieri al Santa Maria della Scala, teatro della presentazione del libro ’Ettore Bernabei, il primato della politica. La storia segreta della Dc nei diari di un protagonista’. Un evento nato per celebrare il centenario della nascita del giornalista fiorentino, il creatore della tv di Stato, scomparso cinque anni fa; ma che è stato anche occasione di un confronto fra la presidente dei deputati di Italia viva, Maria Elena Boschi (che ricorda il suo innamoramento per la politica, da buona aretina, grazie a Amintore Fanfani) e il sindaco Luigi De Mossi. Il quale, come Bernabei, ammette di tenere dei diari, “anche se i miei non le pubblicherà nessuno”. E ricorda anche momenti del passato come quando fece “salatino” per seguire in tv il rapimento di Aldo Moro.
È stata questa, dunque, un’occasione per parlare di politica o meglio di storia. A fare da padrone di casa il presidente della Fondazione Formiche, il professor Alberto Brandani, il quale più volte ha ricordato quanto Bernabei deve tutt’ora essere un esempio per i giovani.
“Lui ci ricorda – afferma – che nella vita bisogna lavorare tanto ma che serve anche amare il proprio lavoro. Come serve avere tanta passione per le cose, passione che non viene da sé, ma che va educata”. Passione per la politica che Maria Elena Boschi ha acquisito grazie ai suoi genitori e alla genetica politica di Arezzo. “Mi appassiona leggere oggi quei diari che Piero Meucci, con tanta pazienza e con un lavoro straordinario, ha raccolto portando alla luce anche tutti quegli spaccati della Dc. Ad esempio, un passaggio che mi è rimasto impresso – racconta la Boschi – è quando la moglie di Fanfani invita ingenuamente a casa un’amica giornalista, insieme a loro c’era anche La Pira. Il giorno dopo sarebbe stato pubblicato un articolo a sua insaputa con quanto detto in quel pranzo colloquiale e intimo. Il direttore del quotidiano andò da Andreotti chiedendo soldi per non farla pubblicare; Andreotti, da politico consumato, gli propose il doppio purché la pubblicasse, in quanto avrebbe messo in difficoltà La Pira”.
Di aneddoti e di episodi è stato ricco il convegno. “Per me Bernabei è un politico d’eccellenza nella sostanza – afferma ancora Maria Elena Boschi – . Ha educato attraverso la tv pubblica, è stato un grande comunicatore, ed è stato un uomo di fede. È impossibile comprendere la sua figura se non si conosce il suo cammino di fede e soprattutto è stato un non politico ma più politico di chi si è attivato in prima persona in ruoli istituzionali”.
Il sindaco De Mossi invece ha voluto mettere in primo piano la parte intima dell’uomo Bernabei che emerge dal libro. “Proprio lui che non era mai disponibile ad aprirsi – afferma -, invece nei diari appare così vicino a noi. Quello che emerge rende questo libro straordinario. Mi ci rivedo in lui, soprattutto nella sua lealtà di uomo”. A partecipare al convegno una folta schiera di politici locali di tutti gli schieramenti. Ma se all’onorevole Boschi si chiede se Italia viva è sempre più vicina al centrodestra, lei risponde scocciata. “Basta con queste insinuazioni – afferma -. Sono surreali, noi alle amministrative siamo insieme al Pd. Punto”. E sul Ddl Zan? ” Ci si dimentica che se abbiamo una legge sulle unioni civili è grazie al centrodestra di Alfano e Verdini. Noi siamo coerenti, al Senato senza modifiche i numeri non ci saranno e non per colpa nostra ma a causa dei mal di pancia dentro al Pd e al Movimento 5 Stelle”.
Il Prof. Brandani intervistato da La Nazione: “La lezione di Bernabei come manager di Stato”
“La lezione di Bernabei come manager di Stato”
Domani al Santa Maria il convegno organizzato dalla Fondazione Formiche. Brandani: “Fece grande la Rai, fondò Lux Vide, fu protagonista del suo tempo”
Professor Brandani, perché organizzare con la Fondazione Formiche, sette convegni sul libro dedicato a Bernabei?
“Festeggiare i 100 anni della nascita di Ettore Bernabei può essere l’occasione per tracciare un apologo a buon uso delle nuove generazioni, un esempio in cui successo e merito sono le facce della stessa medaglia. Bernabei è stato protagonista del suo tempo. Un giornalista autorevole, che ha diretto due quotidiani, ha guidato la Rai per 14 anni e, dopo una parentesi da manager industriale, ha dato vita a uno dei progetti imprenditoriali e culturali più rilevanti in Italia: la società di produzione Lux Vide. Nonostante la sua contemporaneità, Bernabei condensa alcuni valori che la società moderna fatica a recepire. Innanzitutto un rapporto di fedeltà con chi, a suo tempo, ha investito su di lui, cioè Amintore Fanfani. Un legame indelebile per Bernabei, con grande conoscenza e rispetto per il ruolo dello statista democristiano. Bernabei va narrato ai giovani come esempio di gran lavoratore. Genio, capacità, ma anche quantità”.
Perché ha scelto come relatori il sindaco De Mossi e l’onorevole Maria Elena Boschi?
“Il sindaco De Mossi per due motivi: la sua grande cultura e per essere un lettore accanito di tutti i testi che spiegano i retroscena della politica; il secondo motivo per le sue capacità realizzative. Ne è testimonianza la sala Italo Calvino del Santa Maria della Scala. Amici ed avversari dovrebbero riconoscere che questa sala e gli altri lavori del Santa Maria hanno avuto una svolta impressionante. L’onorevole Boschi per tre sue caratteristiche: la competenza, la tenacia nell’applicarsi ai dossier che le sono affidati e soprattutto una passione politica che l’ha portata ad essere una delle figure più interessanti del panorama politico italiano.
Ha qualche aneddoto della sua amicizia con Bernabei?
“Ve ne sono molti. A fine anni ’70 eravamo nel suo studio all’Italstat a confrontarci sul dilemma industria di stato oppure privata quando fummo raggiunti dal professor Petrilli, presidente dell’Iri. E alla fine la conclusione fu che esistono solo aziende amministrate bene o amministrate male perché se le aziende sono amministrate bene lo Stato riceve dividendi, investe, crea posti di lavoro. Se sono amministrate male in entrambi i casi, pubblico o privato che sia, è una mezza tragedia”.
Ricorderete Raffaella Carrà?
“Anche gli immortali ci lasciano ma sono sempre lassù su una nuvoletta se ne sappiamo cogliere i valori, lo stile e gli insegnamenti. La Rai ai tempi della Carrà era una miniera di talenti. Evidentemente qualcuno sapeva scoprirli”.