Il Prof. Brandani presenta:”Il Novecento. Dal Futurismo al Neorealismo”, di Vittorio Sgarbi
Pubblicato su “La Freccia”, Agosto ’19
In anni lontani ma non tali da non scorgerne ancora le linee guida ho studiato e riflettuto su scritti tutti all’epoca “celeberrimi”. Quelli di Eugenio Garin sul Rinascimento e quelli affascinanti di Jacob Burckhardt (La civiltà del Rinascimento in Italia e Meditazioni sulla storia universale). Il tutto alla luce di quella perfetta e quasi inarrivabile cattedrale gotica che era la filosofa di Hegel: uno spartiacque della storiografia moderna perché non era possibile confrontarsi con i grandi movimenti culturali del Novecento senza prima aver inteso qualcosa di questo professore di filosofia che morto prematuramente, per tutta la vita aveva cercato di comporre un ordine universale delle cose sulle quali tutte dovesse aleggiare il Weltgeist, lo spirito del mondo. È proprio questa acuta intuizione di Vittorio Sgarbi che mi ha condotto ad una lettura prima disordinata e poi più composta del primo volume de Il Novecento. Dal Futurismo al Neorealismo, La nave di Teseo, con la bella introduzione di Franco Cordelli. Lascio la parola all’autore che meglio di ogni altra mia interpretazione succintamente racconta tutto in una paginetta.
«Per spiegare il senso profondo di questo nuovo volume, dedicato al Novecento, occorre risalire al pensiero del filosofo Georg Wilhelm Friedrich Hegel: lo Spirito del mondo si manifesta in ogni epoca in un determinato luogo. E dunque, per tornare nel nostro contesto, lo Spirito del mondo appare nel Trecento a Padova, con Giotto. È ancora a Padova nel Quattrocento, con Donatello e Mantegna, anche se il baricentro è prevalentemente a Firenze. Nel Cinquecento è a Roma, e la sua forza perdura anche nel Seicento, con Caravaggio e con il Barocco. Nell’età neoclassica inizia a vacillare il primato dell’Italia, e si annunciano fenomeni molto rilevanti in Francia, i quali poi irrompono, alla fine dell’Ottocento, con gli impressionisti.
L’Italia perde lo Spirito del mondo.
Insomma, se Modigliani avesse lavorato a Livorno, e si fosse ispirato al solo “primitivismo” italiano, non avrebbe avuto la stessa eco, come dimostra la vicenda dei macchiaioli o di Ghiglia; e probabilmente analogo discorso si potrebbe fare per Picasso: se fosse rimasto in Spagna e non avesse conosciuto Parigi, sarebbe stato “Picasso”?».
Con questa premessa teoretica, il resto è il tentativo, devo dire grandemente riuscito, di tanti piccoli capitoli che salvano ciò che questi autori esprimono mentre il Weltgeist è volato via. Un linguaggio essenziale, breve, unisce l’eleganza della rappresentazione ad una caratteristica pedagogica altamente pregevole. Si resta stupefatti di fronte a tanta bellezza aiutati eccome da un accurato apparato iconografico.
Bene inteso a Vittorio Sgarbi, alla sua sterminata cultura ed alla sua impenitente considerazione di sé non serve certo l’elogio di questo articoletto ma ricordare i Labronici o Cagnaccio di San Pietro, Modigliani o l’incantata presenza di Virgilio Guidi è un esercizio a me pare magistralmente riuscito